L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 123/2025, ha chiarito definitivamente che le operazioni non imponibili IVA non possono essere considerate ai fini del calcolo della soglia del 10% necessaria per ottenere il Documento Unico di Regolarità Fiscale (DURF). Questo nuovo chiarimento completa il quadro interpretativo già avviato con precedenti risoluzioni e assume particolare rilevanza anche nell’ambito della “patente a crediti”.
Il quadro normativo del DURF e i suoi requisiti fondamentali
Il DURF trova la sua collocazione normativa nell’articolo 17-bis del D.lgs 241/97, disposizione che disciplina gli obblighi per committenti, appaltatori e subappaltatori nel contesto di appalti con valore annuo superiore a 200.000 euro caratterizzati dal prevalente impiego di manodopera.
La norma prevede che il committente richieda alle imprese appaltatrici e subappaltatrici copia delle deleghe di pagamento relative alle ritenute effettuate sui lavoratori. Dal canto loro, le imprese appaltatrici e subappaltatrici devono trasmettere, entro 5 giorni lavorativi dalla scadenza del versamento, i modelli F24 e l’elenco completo dei lavoratori impiegati, comprensivo di codici fiscali, ore lavorate, retribuzioni e dettaglio delle ritenute del mese precedente.
In alternativa a questo adempimento documentale, le aziende possono presentare il DURF, certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate su richiesta del contribuente. Per ottenere questo documento, fondamentale per snellire gli oneri burocratici, occorre possedere una serie di requisiti verificati almeno all’ultimo giorno del mese precedente:
- Anzianità dell’attività di almeno 3 anni con regolarità degli obblighi dichiarativi;
- Versamenti fiscali negli ultimi 3 anni pari ad almeno il 10% dei ricavi;
- Assenza di iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi superiori a 50.000 euro per imposte sui redditi, IRAP, ritenute e contributi (con esclusione delle rateazioni non decadute).
Il certificato, una volta rilasciato, mantiene la sua validità per quattro mesi, garantendo una semplificazione significativa negli adempimenti tra le parti.
Il problema dei versamenti fiscali per le aziende con operazioni non imponibili
Mentre requisiti come la regolarità dichiarativa e l’assenza di ruoli o accertamenti oltre soglia dipendono essenzialmente dalla correttezza del comportamento fiscale del contribuente, il criterio relativo all’ammontare dei versamenti in rapporto ai ricavi può creare situazioni paradossali.
In particolare, alcune tipologie di contribuenti perfettamente regolari rischiano di vedersi negato il DURF per il solo fatto di operare in settori caratterizzati da prestazioni non soggette al versamento dell’IVA. Questi soggetti, pur adempiendo scrupolosamente a tutti gli obblighi fiscali, difficilmente raggiungono la soglia del 10% di versamenti rispetto ai ricavi, proprio perché una componente significativa della loro attività non genera debito IVA.
Un esempio concreto? Consideriamo un’azienda di logistica che realizza principalmente trasporti internazionali. Con ricavi annui di 1.000.000 euro, di cui l’80% derivanti da servizi non imponibili ai sensi dell’art. 9 del DPR 633/1972, l’impresa versa regolarmente le imposte sui redditi e l’IRAP, ma queste rappresentano solo il 7-8% dei ricavi complessivi. Nonostante la piena regolarità fiscale, l’azienda non ottiene il DURF per il mancato raggiungimento della soglia del 10%, con evidenti complicazioni operative nei rapporti di appalto.
I precedenti chiarimenti: reverse charge e split payment
La questione dei versamenti “teorici” ai fini del DURF non è nuova. L’Agenzia delle Entrate aveva già affrontato il tema con la Risoluzione n. 53 del 22 settembre 2020, quando era stata riconosciuta la possibilità di computare come “versamento” anche:
- L’IVA relativa alle operazioni in regime di split payment;
- L’IVA nelle operazioni in reverse charge;
- L’IVA teorica imputabile alle società controllate, sebbene versata dalla controllante nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo.
In tutti questi casi, pur non sussistendo un versamento diretto da parte del contribuente, esiste comunque un’imposta che viene assolta, seppur da soggetti diversi o con modalità particolari.
La risposta all’interpello 123/2025: nessuna apertura per le operazioni non imponibili
Il caso recentemente sottoposto all’Agenzia delle Entrate riguarda proprio un’azienda specializzata in servizi di spedizione e logistica per fiere ed eventi. La particolarità dell’attività aziendale sta nella prevalenza di servizi non imponibili IVA ai sensi dell’art. 9 del DPR 633/1972, come i trasporti internazionali. Questa circostanza determina che l’azienda raramente si trovi in posizione di debito IVA, rendendo difficoltoso il raggiungimento della soglia del 10% dei versamenti rispetto ai ricavi.
La società istante ha quindi chiesto all’Amministrazione finanziaria se, analogamente a quanto previsto per split payment e reverse charge, fosse possibile includere nel calcolo anche l’IVA “teorica” relativa alle operazioni non imponibili.
La risposta fornita con l’interpello 123/2025 ha assunto una posizione netta: l’IVA “teorica” sulle operazioni non imponibili non può essere conteggiata ai fini del requisito del 10%. La motivazione fornita dall’Agenzia appare logicamente ineccepibile: mentre nei casi di split payment e reverse charge esiste comunque un’imposta che viene versata, seppure da soggetti diversi, nelle operazioni non imponibili ex art. 9 non si genera in alcun modo un debito d’imposta, né in capo all’azienda né in capo a soggetti terzi.
Implicazioni pratiche e possibili soluzioni
Questa interpretazione restrittiva crea indubbiamente difficoltà per le aziende che operano prevalentemente con prestazioni non imponibili IVA. Tali imprese, pur essendo fiscalmente regolari, rischiano di vedersi preclusa la possibilità di ottenere il DURF, con conseguenti complicazioni nei rapporti di appalto che richiederebbero quindi l’adempimento di tutti gli obblighi documentali previsti dall’art. 17-bis.
Le aziende in questa situazione potrebbero valutare alcune possibili strategie:
- Verificare la possibilità di qualificare diversamente alcune operazioni, ove fiscalmente corretto;
- Riorganizzare la struttura societaria separando i rami d’azienda con prevalenza di operazioni non imponibili;
- Predisporre sistemi efficienti per la gestione documentale richiesta in assenza di DURF.
Resta comunque auspicabile un intervento legislativo che tenga conto di questa particolare casistica, magari prevedendo requisiti alternativi per le imprese caratterizzate da una prevalenza di operazioni non imponibili.
Riflessi sulla patente a crediti
La questione assume ulteriore rilevanza se si considera che il DURF rappresenta un elemento importante anche nel contesto della “patente a crediti”, recente innovazione nel rapporto fisco-contribuente. Come per il DURF, anche per la patente a crediti rileva la soglia dimensionale degli appalti superiori a 200.000 euro.
Le aziende che operano con prevalenza di operazioni non imponibili potrebbero quindi subire una doppia penalizzazione: da un lato, la necessità di gestire la complessa documentazione prevista dall’art. 17-bis; dall’altro, potenziali limitazioni nell’ambito della patente a crediti, nonostante una condotta fiscale ineccepibile.
L’auspicio è che questa interpretazione restrittiva venga riconsiderata, alla luce della sua potenziale portata discriminatoria verso contribuenti che operano in settori specifici caratterizzati da operazioni non imponibili IVA, senza che ciò rifletta in alcun modo una minor correttezza fiscale.