Tassazione per trasparenza nelle SAS anche senza distribuzione di utili: la Corte Costituzionale conferma la legittimità https://www.studiopizzano.it/tassazione-per-trasparenza-nelle-sas-anche-senza-distribuzione-di-utili-la-corte-costituzionale-conferma-la-legittimita/ |
La Corte Costituzionale ha confermato la piena legittimità del meccanismo di tassazione per trasparenza nelle società in accomandita semplice. Con l'ordinanza n. 50/2025 del 17 aprile scorso, i giudici costituzionali hanno definitivamente stabilito che l'art. 5, comma 1, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 917/86) non viola principi costituzionali quando attribuisce ai soci accomandanti i redditi prodotti dalla società, a prescindere dalla loro effettiva percezione.
Il meccanismo della tassazione per trasparenza rappresenta un cardine del sistema fiscale italiano per le società di persone. L'art. 5, comma 1, del TUIR stabilisce che i redditi delle società in accomandita semplice vengono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla loro distribuzione e percezione. Tale principio, ora confermato costituzionalmente legittimo, comporta che i soci accomandanti devono pagare le imposte sui redditi prodotti dalla società anche quando tali utili non sono stati effettivamente distribuiti o percepiti.
La Consulta ha chiarito che questo meccanismo impositivo trova giustificazione nel potere di controllo che l'ordinamento attribuisce ai soci. Secondo i giudici costituzionali, tale potere risulta sufficiente per legittimare l'imputazione per trasparenza, creando così un collegamento diretto tra capacità contributiva e posizione del socio all'interno della compagine sociale.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Udine. I giudici tributari avevano messo in discussione la compatibilità dell'art. 5 del TUIR con tre principi costituzionali fondamentali:
La Corte di Giustizia Tributaria contestava specificamente la violazione del principio di capacità contributiva, sostenendo che i soci accomandanti non partecipano attivamente alla gestione della società. Veniva inoltre messa in discussione la capacità contributiva dei soci, dato che questi non percepiscono effettivamente il reddito su cui vengono tassati. Infine, veniva lamentata la limitazione del diritto di difesa, per la presunta difficoltà di accedere alle informazioni necessarie.
La Corte Costituzionale ha respinto tutte le censure, ribadendo un orientamento già consolidato in precedenti pronunce. Particolarmente rilevante appare il richiamo alla sentenza n. 201/2020, in cui la Consulta aveva già esaminato profili di asserita illegittimità differenziati tra soci amministratori e non amministratori.
Nel caso specifico delle società in accomandita semplice, la Consulta ha evidenziato che la scelta del legislatore di imputare il reddito prodotto dalla società anche al socio accomandante, indipendentemente dalla sua percezione, trova adeguata giustificazione. Questa decisione poggia su una valutazione del particolare regime giuridico che governa la posizione dell'accomandante, caratterizzata da un equilibrio tra limitazione della responsabilità e poteri di controllo.
La Corte ha infatti chiarito che, in relazione al profilo della disuguaglianza lamentata, non sussiste disparità di trattamento tra soci di società semplici e in nome collettivo rispetto ai soci accomandanti. Ciò perché, nonostante le differenze strutturali, tutti i soci di società di persone mantengono un potere di controllo che giustifica l'imputazione "per trasparenza" del reddito societario.
La pronuncia ha importanti risvolti pratici per i soci accomandanti. Questi ultimi, pur godendo della limitazione di responsabilità per le obbligazioni sociali, rimangono soggetti alla tassazione dei redditi prodotti dalla società, a prescindere dalla loro effettiva distribuzione.
Un esempio pratico chiarisce la portata della sentenza: una SAS che produce utili per 100.000 euro in un anno fiscale, ma decide di non distribuirli per reinvestirli nell'attività. I soci accomandanti, proporzionalmente alla loro quota di partecipazione, dovranno comunque dichiarare tali redditi e pagare le relative imposte, anche se non hanno materialmente percepito alcuna somma.
La Consulta ha ritenuto che il meccanismo di accertamento a disposizione del socio accomandante sia sufficiente per tutelare il suo diritto di difesa. In particolare, viene evidenziato come la possibilità di contestare l'accertamento nei confronti della società permetta, in base al diritto vivente, un'idonea tutela anche per il socio.
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